Il nuovo Codice Deontologico degli Psicologi è rappresentativo della categoria professionale? Considerazioni sulla sentenza 11293/2024 del TAR del Lazio
Nel giugno del 2023 il Consiglio nazionale degli psicologi, licenzia un testo del nuovo Codice deontologico che sconvolge la nostra professione, trasformando la figura dello psicologo in una sorta di controllore della salute altrui su mandato di enti trans-nazionali.
Intorno a questo problema incomincia ad essere chiara l’esistenza di un disegno che non coinvolge solo gli psicologi bensì tutte le categorie cd. sanitarie, e dentro le quali, in nome dell’interesse di pochi, la psicologia si è voluta ricomprendere.
Ricordiamo che il nuovo Codice Deontologico degli Psicologi tra le sue falle include:
– La riduzione del consenso informato per le prestazioni cd. sanitarie
– La scomparsa del consenso informato per le prestazioni cd. non sanitarie
– La riduzione del diritto all’autodeterminazione dell’utente
– L’impossibilità per lo psicologo di lavorare in scienza e coscienza
– La riduzione del vincolo al segreto professionale
– La possibilità di imporre trattamenti psicologici in modo coattivo attivando l’autorità giudiziaria ad esempio sui minori
Nel settembre 2023 il Consiglio nazionale, attraverso un voto esclusivamente telematico e in brevissimo tempo, grazie ad una manciata di voti rappresentativi non certo della categoria professionale, riscrive completamente il codice deontologico degli psicologi.
Ad informare 131.000 psicologi di un Referendum previsto per legge (la legge 56/89 istitutiva della nostra professione) secondo il TAR sembra sufficiente l’invio di newsletter così come il doveroso confronto con la categoria professionale può essere sostituito da un convegno ove in maniera residuale sono affrontate questioni relative al codice.
Ma il fatto che gli psicologhi non siano stati né coinvolti né tantomeno informati del Referendum che andava a modificare quella che potremmo definire “la Costituzione degli Psicologi”, è certificato dalle percentuali di voto e dallo scarto tra le preferenze (SI/NO) di 1.417 iscritti che ne ha permesso la revisione.
Sono i numeri a certificare come il nuovo Codice deontologico degli psicologi non sia rappresentativo della categoria degli iscritti.
Nella sentenza del TAR a pagina 6 si legge “Con il primo motivo di ricorso, i ricorrenti deducono che nessuno di essi avrebbe mai ricevuto una comunicazione formale, ma neppure informale, di convocazione per il Referendum di approvazione del Nuovo Codice deontologico. Tale censura va disattesa in quanto risulta di fatto smentita ex actis dalle informative periodiche inoltrate a ciascun componente dell’Ordine, dalle quali risulta che a fronte di oltre 110.000 invii di ciascuna newsletter, solo poche decine di iscritti non la ricevono (..)” gli psicologi però sono 131.000 e l’invio di 110.000 newsletter escluderebbe un totale di 21.000 professionisti che sono un numero addirittura superiore al totale dei votanti al Referendum ovvero 16.909.
L’evidente forzatura consistente nell’inserimento di una premessa etica non soggetta al voto, passaggio non previsto dalla legge, è oggi invertita nella sentenza ove si legge che “i ricorrenti assumono erroneamente essere stati esclusi dalla votazione” facendo intendere che tale premessa fosse invece votabile ma senza fornire di ciò riscontri ed in contrasto persino con quanto sostenuto dal Consiglio nazionale.
Il cuore della controversia – che purtroppo il TAR non ha compreso- attiene questioni di rango costituzionale. In primis il diritto all’autodeterminazione, alla libera scelte delle cure e degli interventi psicologi (di qualsiasi natura essi siano) al consenso informato libero e volontario da cui l’intervento psicologico non può mai in nessun caso prescindere. Invece l’obbligatorietà dei trattamenti psicologici previsti nel nuovo Codice deontologico contrasta con l’art. 32 della Costituzione.
E’ dunque attraverso un Referendum ove il diritto di voto degli psicologi è stato compresso svuotando di significato lo strumento stesso del Referendum, che sono state operate modifiche al loro codice deontologico contrastanti con il dettato costituzionale.
Oggi sulla base dell’interpretazione del nuovo articolo 31 (consenso informato sanitario su minori e incapaci) è possibile che uno psicologo entri in contatto con dei minori e svolga colloqui con i medesimi, senza il consenso di nessuno dei due genitori e in contrasto con la posizione espressa da Sentenze di Cassazione.
Inoltre la previsione che impone allo psicologo di adire il Giudice (contenuta sempre all’interno dell’art.31) “quando ritiene necessario l’intervento psicologico viola le norme sostanziali e processuali che escludono la legittimazione attiva degli psicologi nei ricorsi di volontaria giurisdizione. Il nuovo Codice va al di là delle norme ed attribuisce agli psicologi delle prerogative, anche processuali, che non trovano rispondenza nelle norme di legge” (Ricorso per motivi aggiunti 12293/2023).
E’ questa la professione in cui ci riconosciamo?