Se l’Italia è sempre stato un contesto particolarmente ostile all’esercizio della libera professione, ciò è dovuto in buona parte agli ordini territoriali e al consiglio nazionale dell’ordine degli psicologi.
PREMESSA
Le corporazioni note come ordini professionali affliggono purtroppo ancora oggi molti paesi europei. In Italia tali enti (inutili) si sono cristallizzati sotto forma di poteri forti, i quali di fatto limitano l’accesso al lavoro, alle pari opportunità e all’esercizio della libera professione, poiché la loro azione è volta sostanzialmente ad alimentare e mantenere in auge una ristretta cerchia di persone, le quali, da tempo immemore, siedono nelle facoltà, nelle dirigenze sanitarie, nei tribunali, gestiscono la formazione con tutto ciò che ne consegue, siedono in ordini e casse gestendo i soldi e le risorse dei liberi professionisti, senza apportare alcun beneficio alla categoria degli psicologi e pure in violazione della normativa vigente, considerando ad esempio che l’ordine degli psicologi, non ha mai sottoposto all’assemblea degli iscritti, i bilanci preventivi e i consuntivi, per la relativa approvazione, come previsto dalla legge.
Dalla riforma “Zecchino-Berlinguer” che determinava una moltiplicazione degli insegnamenti universitari sino alla scissione della facoltà di Psicologia in due parti, alla successiva fusione con quella di medicina (Università di Roma La Sapienza oggi Sapienza Università di Roma); al business economico che ruota attorno alla formazione in psicoterapia, agli ECM che oggi lo stesso CNOP pensa di imporre ai liberi professionisti fabbricandoli in proprio, per giungere alla svendita della psicologia attraverso siti web che propinano servizi a basso costo e dai quali gli stessi “rappresentanti” della professione – interni agli ordini e alle commissioni deontologiche e che pertanto dovrebbero avere una funzione di vigilanza – erogano corsi di formazione come docenti ospiti, in tale arco temporale l’ordine psicologi non ha mai dato alcun cenno volto a tutelare la professione e dunque i professionisti che concretamente la esercitano.
Al contrario non ha fatto altro che avallare le università nelle politiche scellerate di immissione selvaggia sul mercato di migliaia e migliaia di psicologi (futuri clienti di scuole e scuolette in psicoterapia) perché l’Italia è un paese profondamente malato, con un numero di psicoterapeuti che è tra i più alti d’Europa e con una situazione che potremmo ad esempio paragonare a quella dell’Argentina. Dall’alto dell’esperienza che ha tramutato, dal punto di vista della professione, l’Italia nel sudamerica d’Europa, gli ultimi successi riguardano le lauree abilitanti. Considerando che i tirocini formativi non possono essere garantiti alla mole di studenti, gli psicologi potranno abilitarsi senza aver mai visto un paziente (si legge tirocini erogati dalle facoltà).
Sino al 2019 ordini, commissioni deontologiche ed ENPAP, lungi dall’assumersi le proprie responsabilità circa le derive della professione, hanno continuato a latitare, trattando gli psicologi come numeri di matricola, utili solo ed esclusivamente al versamento delle imposte necessarie al loro auto-sostentamento.
Con l’avvento del “periodo pandemico” però qualcosa cambia e improvvisamente gli ordini si accorgono dei liberi professionisti.
L’avere ricevuto un trattamento sanitario (alle psicologhe in maggioranza donne sotto i 50 anni era destinato Astrazeneca, controindicato per loro e in seguito ritirato) diviene dall’oggi al domani imprescindibile all’esercizio della professione di psicologo, persino al di là del valore legale dei titoli e dell’abilitazione, sovrascrivendo un ulteriore e “incomprensibile” obbligo “sanitario” posto anche per l’attività da remoto.
Così nel novembre del 2023, ricevo una segnalazione in procura per esercizio abusivo della professione, da parte dell’ordine psicologi del Lazio, il quale prima mi sospende illegittimamente (per non essermi sottoposta al trattamento di cui sopra) quindi mi segnala presumendo un mio esercizio abusivo, e ciò in relazione ad una attività di CTP (consulente tecnico di parte) che non prevede iscrizione in ordini e collegi (art. 201 c.p.c.) di cui il PM chiederà l’archiviazione.
Dopo essere stata illegittimamente sospesa per 9 mesi, una volta riabilitata vengo sottoposta ad un surreale procedimento “deontologico” a seguito del quale sono sospesa per ulteriori 3 mesi. Per 1 anno l’ordine territoriale mi ha impedito di lavorare segnalandomi quando non stavo svolgendo alcun atto tipico della professione (per cui sono laureata e abilitata dal 2010) ledendo la mia dignità personale.
E’ possibile essere obbligati all’iscrizione presso un ente che nega il diritto all’autodeterminazione e di conseguenza la dignità umana?
ALCUNE CONSIDERAZIONI
Ordini e commissioni deontologiche hanno dimostrato di potersi attivare (non in ragione del codice deontologico) bensì di una determinata ideologia, del resto tutto il codice deontologico è stato di recente riformulato in chiave ideologica (cfr. Nuovo Codice Deontologico degli Psicologi approvato dal CNOP a dicembre 2023).
L’aderenza cieca all’ideologia del momento è connessa alla stagnazione interna all’istituzione ordinistica, dovuta alla permanenza ultradecennale di alcuni che hanno moltiplicato e cumulato le loro cariche, replicandosi, per così dire, all’interno degli ordini stessi.
Qualora, all’interno di una commissione deontologica, siedano psicologi che lavorano tra loro in forma associata, in relazione ad un qualsivoglia procedimento deontologico, tali soggetti potrebbero esprimere parere contrario rispetto a quello del loro socio maggioritario?
E’ legittimo che determinate cariche siano al tempo stesso i soggetti deputati a fornire parere positivo all’attivazione di corsi di Laurea in Università se mantengono incarichi di docenza all’interno delle medesime università?
Un utilizzo strumentale, scorretto e fazioso della funzione deontologica lede l’immagine professionale della categoria?
Come può essere garantita la funzione disciplinare-deontologica se non attraverso una separazione tra potere politico e potere deontologico oltre che attraverso una sana alternanza?
L’ORDINE PSICOLOGI DEL LAZIO
E’ attraverso la mia esperienza con la commissione deontologica del Lazio che ho potuto constatare come la medesima sia affetta da una sorta di bis-pensiero, per cui, se ci sono psicologi che possono essere puniti semplicemente per il proprio pensiero, ne esistono altri, i quali, per ragioni che non ci è dato sapere, sembrano godere di una speciale immunità, non potendo essere indagati ed eventualmente sanzionati, seppure in presenza di precise segnalazioni deontologiche.
All’interno della medesima vertenza (ovvero all’interno del medesimo procedimento presso il Tribunale dei Minori di Roma) per cui l’ordine mi segnalava in procura per esercizio abusivo mentre svolgevo attività di CTP (il caso ha voluto) che la sottoscritta abbia, a sua volta, dovuto segnalare alla stessa commissione, l’operato della consulente del tribunale (psicologa iscritta all’ordine come prevede la normativa relativa al CTU).
Una segnalazione che veniva immediatamente archiviata, senza alcun tipo di istruttoria volta a comprenderne il contesto.
Non è illogico che una commissione deontologica ravvisi dei rischi in relazione all’operato del CTP (sino ad imputargli un reato del quale manca la parte lesa) ma non effettui neppure un’indagine per comprendere l’eventuale rischio derivante dall’operato del CTU, la cui qualità di pubblico ufficiale potrebbe rappresentare un danno molto maggiore per la collettività in caso di illeciti o errori, visto il significativo impatto delle decisioni che il suo operato determina sulle famiglie e in particolare sui figli minorenni (?).
Invece nel caso del CTU la commissione deontologica del Lazio “(..) rimette gli atti in archivio ai sensi dell’art. 5 del regolamento disciplinare, considerando che la propria competenza sul caso potrebbe attivarsi solo all’esito di un eventuale pronunciamento sulla fattispecie da parte del Giudice (..)” come si apprende da relativa nota.
Se nel caso del CTP la commissione deontologica segnala automaticamente all’AG., nel caso del CTU si pronuncerà solo a seguito di un’eventuale condanna.
Come da successiva nota ancora si può apprendere che “(..) la commissione ha dovuto riconoscere la competenza del Tribunale dei Minorenni a decidere tutti i profili di legittimità della vertenza (..)”
un altro chiaro esempio di bis-pensiero poiché se è il tribunale competente a valutare l’operato del CTU, è la commissione deontologica competente a valutare l’operato del CTP.
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E’ noto come siano sempre gli stessi CTU (consulenti tecnici d’ufficio) a prendere parte in qualità di relatori ai convegni dell’ordine psicologi del Lazio, a dimostrazione di come lo stesso ordine, abbia sposato una linea di pensiero, i cui risultati e conseguenze tuttavia sono ben conosciute da genitori e minori che hanno affrontato determinati procedimenti giudiziari.
Tali esiti del resto vengono certificati dallo stesso ordine psicologi del Lazio che candidamente ammette come “in più dell’80% dei casi, gli interventi messi in campo- Consulenze Tecniche d’Ufficio, Mediazione Familiare, Spazio Neutro, Sostegno alla genitorialità, Psicoterapia- si siano dimostrati perlopiù inefficaci, non specialistici e ridondanti”.
C’è da chiedersi chi fossero i CTU (psicologi) e i Magistrati che hanno implementato determinati interventi. C’è da chiedersi altresì perché lo stesso ordine in nome del suo mandato, non abbia mai preso le distanze da metodologie distorte che hanno portato esempi di pessima psicologia come nel caso di Rignano Flaminio ma come in tanti altri casi giudiziari.
Un evidente danno all’immagine professionale proprio da parte di chi dovrebbe tutelarla.