Quando un bambino manifesta dei segnali di disagio psicologico, ovvero comportamenti ‘disfunzionali’ che generano sofferenza e tendono a persistere nel corso dello sviluppo, i genitori rimangono solitamente preoccupati e confusi circa il da farsi per risolvere il problema.
Le segnalazioni partono in genere dalle insegnanti per arrivare, attraverso le famiglie, ai servizi sanitari preposti, dove ha luogo l’iter diagnostico del bambino e conseguentemente il progetto terapeutico, di concerto con la famiglia e la scuola.
Ma spesso il genitore è lasciato solo di fronte alla problematica del figlio, sembra che non abbia sufficienti strumenti per capire e intervenire, finendo per delegare all’esperto, che è fuori dal contesto di sviluppo del minore, scelte importanti rispetto alla futura crescita.
Chiariamo che, il ricorso ai servizi competenti e ai professionisti del settore, è senz’altro utile e in alcuni casi specifici necessario. Contestiamo tuttavia la ‘delega’, in quanto non è utile né per il bambino e né per la famiglia, che devono essere parte attiva del processo di cambiamento.
Decidere di somministrare uno psicofarmaco, in età prescolare, scolare o adolescenziale; per un problema di natura emotivo-cognitiva, è una scelta che segnerà la crescita del minore, configurando rischi futuri.
Ogni qual volta che l’esperto decida per il ricorso al farmaco, ed in generale rispetto a qualsiasi tipo di intervento terapeutico, è opportuno che egli raccolga un Consenso Informato.
I genitori, visto che parliamo di minori, devono essere informati al fine di esprimere o meno il loro consenso rispetto alla terapia indicata dai sanitari. E’ questo un passaggio fondamentale che si esplica nel momento in cui viene fornito un chiaro ed esaustivo quadro della situazione ai genitori, con dettaglio della specifica diagnosi, sia rispetto alle cause scatenanti (se note) che agli esiti attesi; chiarendo tempi e modi della somministrazione oltre a rischi ed effetti avversi che la molecola scelta può determinare.
E’ opportuno che vengano espresse ai genitori tutte le possibili alternative terapeutiche, e che prima del ricorso al farmaco siano attuati interventi di tipo psicologico.
Prendiamo il caso della Paroxetina, l’antidepressivo di fatto prescritto anche sotto i 18 anni di età, per il trattamento della depressione nei bambini e negli adolescenti.
Come è potuta accadere una cosa del genere, visto che il farmaco non ha effetti terapeutici rispetto al placebo pur presentando rilevanti effetti collaterali?
Chi somministrava il farmaco non era a conoscenza dei risultati di quegli studi clinici?
Le ricerche in generale andrebbero lette con occhio critico e in particolare quando sono pagate dalle case farmaceutiche produttrici del farmaco.
E’ assolutamente indispensabile che il Genitore recuperi la responsabilità e il compito di tutelare il benessere dei figli, non affidandosi passivamente e in maniera acritica a nessun esperto, a nessun Professore, a nessun medico, psicologo, psichiatra etc. etc.
La Salute secondo l’OMS è lo “Stato di completo benessere fisico, psicologico e sociale della persona, e non è soltanto l’assenza di malattia” . Inoltre “non può esserci salute senza salute mentale“.
C’è anche da dire che una presa in carico globale del bambino e della famiglia è resa sempre più difficoltosa dallo stato del nostro sistema sanitario, mentre il farmaco è una risposta di gran lunga più semplice e veloce.
Ma questo certamente non ha nulla a che vedere con la tutela della salute in età evolutiva, diversamente configura il rischio, per minori che in realtà non hanno nessuna patologia, di ammalarsi da un punto di vista fisico e psicologico.
E’ opportuno tenere in considerazione il fatto che esiste una tendenza della psichiatria ufficiale, purtroppo ampliamente diffusa anche nel nostro paese, ad intendere il disagio psichico e le condizioni cliniche vere e proprie, i problemi comportali e nel caso specifico dell’età evolutiva, pericolosamente polarizzata su un versante esclusivamente biologico e genetico, la quale porta all’affermazione che certi problemi di natura psico-sociale siano determinati genericamente e che siano controllabili con la sola chimica che ne sarebbe la “terapia elettiva”.
Quali sono le risposte all’aumento del disagio psicologico e delle patologie mentali?
Una tipica risposta è la tendenza a considerare il disagio in età evolutiva (e in generale il disagio mentale) come un problema esclusivamente individuale, intra-psichico, neuro-cerebrale, e a trattarlo farmacologicamente con sostanze attive sul SNC.
Pensiamo ad un bambino o ad un adolescente cui è stata somministrata Paroxetina per un periodo di 12, 24, 36 mesi o più a lungo.
Come si presenta il soggetto ai diversi follow-up? Qual è l’evoluzione dei casi trattati nel corso del tempo? Quali sono gli esiti alla fine della terapia?
Quel bambino ha risolto il suo problema?
Purtroppo reperire questa tipologia di dato risulta particolarmente complesso se non impossibile, in quanto sono poche le ricerche in tal senso, possono essere autoferenziali oppure provenire da contesti culturali distanti.
L’esempio più emblematico di questa tendenza è a mio parere il DISTURBO DA DEFICIT DI ATTENZIONE E IPERATTIVITA’ o ADHD attention deficit hyperactivity disorder
In sostanza una diagnosi estremamente ambigua in base alla quale milioni di bambini nel mondo sono stati trattati con psicostimolanti come il Ritalin.
Per l’Istituto Superiore di Sanità questa “condizione dello sviluppo” è una vera e propria patologia con forte base genetica.
In sintesi l’ISS afferma che “Numerosi studi hanno dimostrato che questi bambini presentano significative alterazioni funzionali di specifiche regioni del Sistema Nervoso Centrale, rispetto a bambini appartenenti a gruppi di controllo. In questo senso l’ADHD non viene considerato come un disturbo dell’attenzione in sé, ma come originato da un difetto evolutivo nei circuiti cerebrali che stanno alla base dell’inibizione e dell’autocontrollo, in particolare corteccia prefrontale e nuclei o gangli della base”.
Leggendo con occhio critico e imparziale, la ricerca sul tema ADHD, possiamo affermare che:
Numerosi studi hanno confrontato piccoli campioni di bambini “ADHD” con gruppi di controllo. I bambini “ADHD” erano stati precedentemente trattati farmacologicamente e dunque le differenze riscontrate -nell’attivazione di corteccia prefrontale e gangli- non possono essere ragionevolmente intese come la causa della patologia e anzi potrebbero riflettere l’effetto del farmaco.
Conclusioni maggiormente attendibili si potrebbero ottenere dal confronto (relativamente all’attivazione di certe regioni del cervello), tra soggetti di Controllo e soggetti affetti da ADHD non trattati farmacologicamente.
Altro valido confronto sarebbe quello tra ss ADHD medicati VS ss ADHD non medicati. Ciò servirebbe ad escludere possibili effetti dei farmaci sulle dimensioni cerebrali indagate (come afferma il NIMH, National Institute of Mental Health).
La maggior parte delle ricerche invece include soggetti con ADHD precedentemente trattati farmacologicamente ma non è corretto confrontare i soggetti prescindendo dalla loro storia farmacologica (Leo e Cohen, 2003).
Molte ricerche confrontano i gruppi in esame (ADHD e controlli normali) attraverso la fRMI (risonanza magnetica funzionale) che misura l’aumento del flusso ematico cerebrale quando i neuroni si attivano.
E’ corretto interpretare un aumento dell’attività neurale come una ‘funzione migliore’ e una riduzione invece come ‘peggiore’? La presenza di differenze nell’attivazione del cervello è di per se convincente nello stabilire le cause del disturbo? In che modo le differenze nell’attivazione di certe regioni neurali sono in relazione con il comportamento e con la funzione cognitiva indagata?
Questi sono solo alcuni dei numerosi interrogativi ancora aperti.
Da “IL FENOMENO ADHD”
autore R. Cestari – revisione G. Antonucci
Se l’ADHD è una vera malattia biologica, l’onere della prova è carico di chi lo sostiene. La prova deve consistere di:
- alterazioni anatomo patologiche rilevanti per sensibilità e specificità, nel rapporto tra la popolazione sana e quella malata;
- esami clinico strumentali (sul sangue, urine, RMN, TAC, PET, ecc.) che rilevino alterazioni con sufficiente sensibilità e specificità, nel rapporto tra la popolazione sana e quella malata;
Se ciò esistesse, l’ADHD diverrebbe una malattia neurologica, vi sarebbero test specifici biologici per confermare la diagnosi e nessuno ricorrerebbe più, se non eventualmente in fase anamnestica all’utilizzo dei test attuali (domandine) ai fini diagnostici. Ciò permetterebbe persino di evidenziare i malati asintomatici.
Sino a che queste prove non esistono, circa l’organicità, siamo nel campo delle opinioni.
La situazione italiana
Poiché gli USA, stanno facendo marcia indietro, vi è un enorme sforzo per trovare sostenitori dell’ADHD in nazioni ritenute secondarie, dove poter vendere ciò che in America dà i primi segni di cedimento del mercato. L’Italia è una nazione che potrebbe importare ciò che gli USA vogliono buttare via. (Campagna di farmacovigilanza Giù le mani dai bambini).
QUALCHE DATO
Sono circa 450 milioni le persone che in tutto il mondo soffrono di disturbi neurologici, mentali e comportamentali.
In Europa, la mortalità per suicidio è più elevata di quella per incidenti stradali, e il solo disturbo depressivo maggiore rende conto del 6% del carico di sofferenza e disabilità legati alle malattie.
Anche in Italia, come in altri Paesi industrializzali, i disturbi mentali costituiscono una delle maggiori fonti di carico assistenziale e di costi per il Servizio Sanitario Nazionale; si presentano in tutte le classi d’età, sono associati a difficoltà nelle attività quotidiane, nel lavoro, nei rapporti interpersonali e familiari e alimentano spesso forme di indifferenza, di emarginazione e di esclusione sociale.
Fonte Organizzazione Mondiale della Sanità OMS
In Italia, per il solo ADHD, 3220 bambini vengono trattati farmacologicamente con sostanze psicoattive, nocive e pericolose per la loro salute.
REGISTRO ITALIANO DELL’ADHD – 19 Dicembre 2014:
A che punto siamo
N. | % | |
Metilfenidato | 2208 | 68.6 |
Atomoxetina | 1012 | 31.4 |
Totale | 3220 | 100 |
In Italia si parla di 70.000 casi accertati di ADHD (Pietro Panei, responsabile Registro ADHD presso l’ISS, 2012). Di questi 2.100 assumono farmaci (il 3-4%).
E’ dimostrato che l’efficacia del Ritalin nel lungo periodo è trascurabile (Hinshaw, Arnold Multimodal Treatment Study of Children With ADHD Cooperative group, 2014).
Nel mondo ci sono circa 11 milioni di bambini che sono stati diagnosticati ADHD e poi sottoposti a cura farmacologica. Tra gli effetti collaterali di alcuni dei farmaci usati nella cura dell’ADHD abbiamo : Infarto, alopecia, danni epatici, problemi cardiovascolari, difetti di crescita e di sviluppo sessuale, tendenza al suicidio. (Campagna di farmacovigilanza Giù le mani dai bambini).
E’ necessario prendere le distanze da un’ottica eccessivamente riduttiva, oltre che dannosa, per ribadire che:
Lo sviluppo del bambino è un processo bio-psico-sociale in cui entrano in gioco fattori di diversa natura.
Il cervello è un’ organo estremamente ‘plastico’ ed esperienza-dipendente.
Il cervello è il prodotto degli effetti che le esperienze esercitano sull’espressione del potenziale genetico (Kendler, Eaves, 1986; Rosenblum et al., 1994; Rutter et al., 1997). I neuroni infatti si sviluppano creando tra loro connessioni sulla base dell’esperienza.
L’esperienza ha la capacità di accendere oppure di spegnere un determinato gene.
Ci riferiamo a questo concetto quando parliamo di “effetto epigenetico” cioè “al di sopra del gene” così che l’influenze epigenetica è ciò che accade al livello ambientale e che attiva/disattiva certi geni.
I geni quindi “non esplicano le proprie funzioni secondo un programma predeterminato e immutabile e la loro azione viene modificata e modulata dagli eventi esterni e dall’apprendimento” (Kandel, 1991).
L’esperienza può esercitare effetti diretti sullo sviluppo dei circuiti neurali determinando la formazione di nuove sinapsi o favorendone l’eliminazione (Kandel, 1989, 1998).
L’ambiente di sviluppo del bambino, determina l’acquisizione di funzioni psicologiche di valutazione ed elaborazione che regolano l’espressione del gene e stabiliscono se particolari fattori ambientali (es. trauma) provocano l’espressione di vulnerabilità genetiche (Elman et al., 1996; Emde, 1989).
La qualità e la tipologia delle relazioni che il bambino instaura nel corso della crescita è una variabile chiave per comprendere questo processo di apprendimento.
Famiglia e Scuola hanno un ruolo centrale nell’orientare il bambino verso uno stato di completo benessere/salute psicofisica.
La scuola in quanto Setting organizzativo per la Salute (nella definizione dell’OMS “Il luogo o il contesto sociale nel quale le persone si impegnano nelle attività quotidiane nelle quali i fattori ambientali, organizzativi e personali interagiscono per ripercuotersi sulla salute e sul benessere.” OMS 1998), dovrebbe , da una parte, sviluppare una sua Politica per la Salute, dall’altra ci domandiamo però, qual’è lo stato di salute della nostra scuola?
Nel caso specifico del setting scolastico, è necessario adattare l’ambiente ai bisogni evolutivi del bambino e modificarlo in funzione di tali bisogni, in modo da fornire all’alunno gli input evolutivi adeguati e i sostegni necessari alla sua cresita.
I bambini a scuola devono essere liberi di svilupparsi, di comunicare, di apprendere, di creare relazioni sempre più simmetriche, di interagire all’interno di gruppi fondati sull’uguaglianza e sul rispetto reciproco. E’ di cruciale importanza la qualità delle relazioni entro tale contesto, perchè è il mezzo per sviluppare determinate Skills.
La scuola dovrebbe essere capace di trasmettere ai suoi alunni un patrimonio di abilità e di competenze di vita, ovvero sviluppare l’intellignza emotiva dei bambini (oltre a quella cognitiva), perchè è indispensabile al raggiungimento di un positivo equillibrio psico-fisico, e in generale alla salute.
Il nostro interesse principale dovrebbe essere ben diverso dal somministrare pillole e dovrebbe essere quello di agire sui contesti di sviluppo per consentire ai bambini di vivere in ambienti salutari, garantendodone i diritti, il benessere, la salute psicofisica.